IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in materia di previdenza e assistenza obbligatoria iscritta in grado d'appello il 13 ottobre 1989 col n. 6270 del ruolo generale affari contenziosi e promossa da Zambelli Arduino, residente in Castelfranco Emilia (Modena), appellante, col proc. avv. M. Cristina Bergamini che lo rappresenta e difende come da mandato a margine del ricorso introduttivo, contro l'I.N.A.I.L. - Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli inforntuni sul lavoro - Sede di Modena, in persona del direttore pro-tempore, appellato, difeso, come da mandato in calce alla copia notificata del ricorso in appello, dall'avv. Giancarlo Muccio unitamente all'avv. Guglielmo Della Fontana. F A T T O Con ricorso al pretore di Modena in funzione di giudice del lavoro e competente in materia di assistenza e previdenza obbligatorie, Zambelli Arduino esponeva: di avere avuto, nel marzo dell'anno 1973, un infortunio sul lavoro, dal quale aveva ricevuto numerose fratture, che avevano cagionato una inabilita' permanente parziale; che, il 1 settembre 1973, l'Inail gli aveva corrisposta una rendita, commisurata ad una inabilita' pari al 42 per cento, poi in seguito ridotta ad una inabilita' pari al 32 per cento, nel 1976, ed infine, nel 1978, ridotta ad una inabilita' pari al 26 per cento; che, in occasione della visita di revisione decennale, nel maggio del 1984, l'inabilita' veniva, dall'Inail, confermata in quella del 26 per cento, mentre invece era intervenuto un peggioramento delle sue condizioni tale da giustificare una inabilita' quantomeno del 36 per cento; che, contro il provvedimento dell'Inail, aveva esperito, con esito negativo, il prescritto ricorso amministrativo; che, pertanto, l'adito pretore, dopo aver accertata che la misura dell'inabilita' era quantomeno del 36 per cento, doveva condannare l'Inail a corrispondere la relativa rendita ed a pagare le spese di lite. Si costituiva l'Inail, che contestava la fondatezza delle avversarie domande, perche' l'inabilita' del ricorrente era solo del 26 per cento. Il pretore disponeva una consulenza medica d'ufficio. Il consulente esprimeva il seguente giudizio: che, alla data del maggio 1984, quando, cioe', era stata svolta la visita di revisione decennale, il grado di inabilita' era veramente del 26 per cento, come affermato dall'Inail; che solo successivamente al maggio 1984, l'inabilita' del ricorrente Zambelli si era aggravata, peraltro nella misura del 30 per cento. Il pretore, pur condividendo i risultati cui era pervenuto il CTU, rigettava il ricorso. Osservava il primo giudicante che: l'art. 83, comma sesto e settimo d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, non consentiva la revisione della rendita, trascorsi i dieci anni dalla sua costituzione e che, pertanto, l'aggravamento dell'inabilita' che era derivato allo Zambelli non poteva essere riconosciuto; che nessun rilievo, a riguardo, poteva avere l'art. 149 att. del c.p.c., che obbligava il giudice a valutare anche gli aggravamenti della malattia intervenuti in corso di causa, trattandosi di norma processuale assolutamente ininfluente rispetto alla regola di diritto sostanziale, preclusiva della revisione trascorso il decennio dalla costituzione della rendita. Zambelli Arduino gravava la sentenza, chiedendone la totale sua riforma. Il primo giudizio veniva censurato perche': come anche la giurisprudenza riteneva, non era stato considerato che il termine decennale aveva natura "dilatoria", sicche' il termine poteva solo avere il significato di imporre che l'ultima revisione avvenisse "non prima" del trascorrere dei dieci anni, ben potendo invece l'ultima revisione senz'altro avvenire dopo il decimo anno dalla costituzione della rendita e che, pertanto, il giudice avrebbe potuto accordare la maggiore rendita anche se realizzatasi successivamente al trascorrere del termine; nella fattispecie, pertanto, doveva trovare applicazione il cit. art. 149 att. del c.p.c., che avrebbe dovuto obbligare il pretore a prendere in considerazione l'aggravamento dell'inabilita'. Si costituiva, seppure tardivamente, l'Inail, chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della prima sentenza. All'udienza di discussione, dopo la relazione del giudice incaricato e sentite le parti, il tribunale, con ordinanza, decideva di rimettere, ex officio, la causa avanti alla Corte costituzionale in ordine alla questione di legittimita' qui appresso motivata. D I R I T T O I. - In punto di diritto il tribunale non puo' fare a meno di condividere il decisum del giudice di prime cure (peraltro conforme, in tutto, alla giurisprudenza di legittimita' formatasi in subiecta materia: v. sez. lav. 20 marzo 1987, n. 2793; sez. lav. 23 dicembre 1988, n. 7060; sez. lav. 6 giugno 1987, n. 4981). Nella sostanza si tratta di quello che la Corte costituzionale, solitamente, definisce come "diritto vivente". II. - In effetti il comma sesto e settimo dell'art. 83 del d.P.R. n. 1124/1965, per implicito e cioe' attraverso i termini che stabiliscono dopo quanto tempo deve essere fatta la revisione, sembra voler porre un termine decennale. Detto termine, come anche quelli intermedi, ha natura "dilatoria", stabilisce cioe' che la revisione "non deve avvenire prima di una certa data". Ma la questione non e' questa. III. - Il problema e', invece, (secondo l'opinione della cit. giurispr.), che, trascorso il termine di dieci anni dalla costituzione della rendita, gli aggravamenti della inabilita' avvenuti successivamente non possono piu' essere valutati ai fini della corresponsione della rendita. La giurisprudenza, in proposito, parla di perdita sostanziale del diritto in virtu' del c.d. "principio della stabilizzazione dei postumi" (ed anche, qualche volta, piu' imprecisamente, di termine "perentorio", il cui spirare "impedisce la stessa insorgenza del diritto alla revisione"; quasi fosse un termine decadenziale, il che non e', stante la sua pacifica natura "dilatoria"). IV. - Ovvio che nessun rilievo puo' avere, in proposito, l'art. 149 att. del c.p.c. Il quale, come e' agevole comprendere attraverso la consultazione dei lavori preparatori, era stato pensato al fine di evitare, in caso di aggravamento dell'infortunio o della malattia avvenuto in corso di causa, il ritorno alla fase del procedimento amministrativo, quale condizione indispensabile di procedibilita', ai sensi e per gli effetti dell'art. 443 c.p.c. La stessa Corte costituzionale, peraltro, ha avuto occasione di sottolineare che l'applicabilita' del cit. art. 149 att. del c.p.c. deve essere subordinata alle regole vigenti in materia di revisione (sentenza 13 febbraio 1985, n. 39; v. pure cass. 13 ottobre 1984, n. 5142, che e' dello stesso avviso). V. - Il Collegio, preso atto di detto "diritto vivente", lo ritiene sospetto di incostituzionalita', considerando la questione non manifestamente infondata. Non deve essere ritenuto infatti conforme al canone di ragionevolezza, pacificamente ricavabile dall'art. 3 della Costituzione, l'esclusione, "in perpetuo" e per la sola circostanza del trascorrere del tempo, della corresponsione di "mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio" del lavoratore. Deve cioe' essere ritenuto irragionevole il privare il lavoratore infortunato di mezzi adeguati alla sua sopravvivenza, per il solo fatto che gli effetti dell'infortunio medesimo si manifestano in tutta la loro capacita' invalidante solo dopo il trascorrere di un certo periodo di tempo. Ed, in effetti, la Carta costituzionale cio' non vuole, positivamente disponendo che a tutti i lavoratori malati ovvero infortunati siano assicurati adeguati mezzi di sussistenza (v. art. 38 della Costituzione). VI. - A rafforzare il sospetto di illegittimita' costituzionale e' la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale. Puo' essere osservato, infatti, che la Corte costituzionale ha, si puo' dire da sempre, pronunciato declaratoria di incostituzionalita' tutte le volte in cui si imbatteva in una "privazione" permanente del diritto del lavoratore infortunato ovvero ammalato ad avere adeguati mezzi di sussistenza (v., p. es., la risalente sentenza 8 luglio 1960, n. 116; indirizzo che si e' fatto, addirittura, piu' di recente, perentorio: v. sentenza 11 febbraio 1988, n. 206, sentenza 18 febbraio 1988, n. 279). VII. - Quanto alla rilevanza della questione di illegittimita' costituzionale, in ordine alle sorti della presente controversia, la stessa non puo' essere seriamente revocata in dubbio. Si consideri, infatti, che, attesi i risultati cui e' pervenuto il nominato consulente medico d'ufficio, non oggetto di particolare contestazione in questo grado d'appello, la declaratoria (eventuale) di illegittimita' costituzionale consentirebbe allo Zambelli di percepire una maggiore rendita, adeguata, ex art. 38 della Costituzione, al suo attuale grado di inabilita' (id est: alla sua attuale parziale incapacita' lavorativa).